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Enjoy the Silence

Un silenzio diverso

Una situazione che, considerata così per come appare, suscita in ognuno di noi sentimenti contrastanti: per alcunj rappresenta pace, quiete; per altri è un grosso spauracchio. In realtà tutti noi, chi più chi meno, vivendo in un contesto sociale nel quale si fa di tutto per non rimanere soli ed emarginati, a volte scendendo persino a compromessi e rinnegando li proprio essere, abbiamo un po' paura del silenzio, di stare senza pensare a niente ... O forse a pensare a tante, troppe cose. Nell'esperienza degli esercizi spirituali quella del silenzio è la componente principale, ma è un silenzio diverso da quello descritto finora, perché pieno della presenza di Dioche, attraverso le illuminanti indicazioni della guida spirituale e le ideali condizioni ambientali di tranquillità e distacco dal quotidiano, va come a rimuovere le travi che fino a quel momento hanno irrimediabilmente serrato le porte del cuore. E da quel momento in poi, avendone la riprova anche con chi ha vissuto insieme a te la stessa esperienza, ti si spalanca davvero l'universo! Quel silenzio inizialmente spaventoso ti riempie di così tanti, meravigliosi messaggi che da lì in poi tutto appare diverso, in ciò che fai, nei rapporti con gli altri, nei nostri piccoli passi quotidiani: capisci che puoi stare a contatto, comunicare e incontrarlo nel prossimo senza necessariamente parlare; comprendi che Lui è sempre con te, nei momenti di gioia e soprattutto in quelli più tristi; e senti sempre di più la necessità di ritagliarti dei momenti quotidiani di dialogo con Lui, l'Unico che più di tutto e tutti possa guidare questo nostro infinito cammino di vita fede, due concetti che ultimamente non vanno più tanto di pari passo. Quindi per noi laici, queste esperienze, come quelle vissute in fraternità, sono preziosissime, per trovare sempre nuove motivazioni, per poter ricaricare le nostre "pile spirituali" sempre in modo diverso.  E se è vero, come scrisse il beato Paolo VI nell' "Evangelii Nuntiandi", che: "L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri testimoni che maestri", allora rimbocchiamoci le maniche! Facciamo fruttare i tesori acquisiti in questi momenti di Grazia, condividendo coerentemente .il nostro essere Suoi figli con chi ancora non ha voluto o potuto incontrarLo, con la rinnovata consapevolezza che Lui ci accompagna passo dopo passo in questa bellissima missione. MICHELE FARINA

Il Cuore della Madre

Il Cuore della Madre

IL CUORE DELLA MADRE

Nel tempo di Natale la liturgia ci invita a meditare più volte il brano della natività di Gesù secondo Luca (3, 15-19) e gli eventi ad essa collegati. In genere, quando si riflette su questo racconto, l’attenzione si concentra soprattutto su Gesù e sull’amore immenso del Suo Cuore per l’umanità, che l’ha portato ad abbassarsi fino ad assumere la natura umana, Lui, il Figlio eterno del Padre, pur di elevare noi alla dignità di figli di Dio. Tale preferenza è più che giustificabile, dal momento che si tratta di uno dei misteri più grandi della nostra fede, di fronte al quale non possiamo fare altro che rimanere in silenziosa adorazione, considerandone tutte le possibili sfaccettature e applicazioni per la nostra vita di fede. I commenti e le meditazioni, in tal senso, sono innumerevoli.

Credo tuttavia che, come Piccole Operaie dei Sacri Cuori, siamo chiamate a meditare questo brano anche da un altro punto di vista, trasferendo per un attimo lo sguardo dal Cuore del Figlio a quello della Madre, per poterne considerare l’atteggiamento materno, un atteggiamento che è stato meditato e fatto proprio anche dai nostri venerati Fondatori. Ovviamente, non si tratta di trascurare il Figlio per la Madre, ma più semplicemente di “mettere a fuoco”, come in una ripresa cinematografica, un primo piano di Maria, spostando su di lei l’obiettivo della “telecamera”. Cominciamo dal leggere insieme il brano in questione:

Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore (Lc 3, 15-19)

Il contesto è quello dell’annuncio solenne della nascita di Gesù, fatto dagli angeli ai pastori che pascolavano il gregge nelle vicinanze. Questi non perdono tempo e, non appena le creature celesti si allontanano, si mettono in cammino incuriositi e stupiti, per andare a vedere l’evento straordinario che era stato loro comunicato.

La prima cosa da notare è la sollecitudine dei pastori nell’andare a “vedere”. Ormai siamo tanto abituati a leggere ed ascoltare questo brano che ci sembra una cosa scontata: cos’altro si poteva fare di fronte a tale manifestazione soprannaturale? Anche perché consideriamo i pastori come persone tranquille, pacifiche e, quindi, particolarmente sensibili a queste cose. In realtà non è così. Ai tempi di Gesù si trattava di persone poco raccomandabili, da evitare, assimilabili ai briganti. La vita solitaria che conducevano, infatti, li rendeva poco inclini a socializzare e, spesso, era occasione per delinquere[1]. Si capisce, perciò, perché la loro compagnia non fosse gradita e il motivo per cui venivano evitati dalla gente cosiddetta “per bene”. Ebbene, è proprio a queste persone, poco raccomandabili e, presumibilmente, poco inclini alla pratica religiosa, che viene indirizzato l’annuncio più incredibile e straordinario della storia dell’umanità. A riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che il Signore “non guarda ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda all’apparenza, il Signore guarda al cuore” (1 Sam 16,7). E i pastori si dimostrano degni di tale fiducia, mettendosi subito in cammino, senza fare tanti calcoli, incuranti di lasciare i propri interessi.

Nello stesso tempo, Maria e Giuseppe hanno da poco accolto e adagiato Gesù nella mangiatoia. Chissà cosa avranno pensato in quel momento! Dio fatto carne è sotto i loro occhi, umile Bambino, bisognoso di tutto, come tanti suoi coetanei. Mi piace immaginarli semplicemente in silenziosa adorazione di fronte ad un mistero tanto più grande di loro. Un momento di grande intimità e preghiera che viene interrotto proprio dall’arrivo dei pastori.

Come reagiscono Maria e il suo sposo di fronte a questa visita imprevista? Semplicemente, accolgono quegli ospiti inaspettati e ascoltano il loro racconto sull’annuncio degli angeli. Non li mandano via. Maria, in modo particolare, mette da parte i suoi progetti, come aveva già fatto nell’annunciazione e come farà sempre fino alla fine della sua vita, per far sentire quelle persone a casa propria. E non è una semplice ipotesi. Si può capire dall’annotazione dell’evangelista: “Maria da parte sua, serbava tutte quelle cose meditandole nel suo cuore”. Significa che aveva accolto, e ascoltato, non semplicemente per convenienza o cortesia, ma con attenzione, per autentica carità come se fossero suoi figli, con lo stesso amore con il quale aveva accolto poco prima il Signore fatto Bambino. E’ l’atteggiamento dell’amore autentico che, come osserva Papa Francesco, «è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma per­ché è bello, al di là delle apparenze»[2].

Il suo Cuore materno, anche se non comprendeva appieno ciò che stava accadendo, cominciava già ad esercitare, inconsapevolmente, la missione di maternità spirituale che le sarebbe stata affidata a pieno titolo sotto la croce: “Madre, ecco tuo figlio… figlio, ecco tua madre” (Gv 19, 26-27). E inizia proprio con gli ultimi della società, con coloro che non sono considerati da nessuno, condividendo, e facendo proprio, lo stile di Dio[3].

Credo che i due atteggiamenti principali che emergono dal “primo piano” del Cuore materno di Maria in questo brano, e che il Signore Gesù fatto carne ci invita ad imitare, siano proprio: la disponibilità e l’accoglienza nei confronti di tutti, soprattutto degli ultimi della società. Si tratta, come direbbe Papa Francesco, dell’attenzione alle “periferie esistenziali” che non sono solo quelle della povertà fisica, ma anche morale. Anzi, forse quest’ ultima è la più diffusa nel nostro contesto sociale, come lo era ai tempi del Venerabile Padre Fondatore e della Madre De Vincenti[4]. Sono stati proprio loro a dirci, con la testimonianza della loro vita, che è possibile amare, accogliere e ascoltare con il Cuore materno di Maria. Nessuno, infatti, è mai andato via da loro senza ricevere aiuto o almeno, una parola di conforto, e le loro uniche preferenze erano per i più piccoli e poveri. Una predilezione che siamo chiamate a fare nostra anche oggi, per poter essere fedeli al Carisma che abbiamo ricevuto e per rispondere all’accorato appello di Papa Francesco, recentemente ribadito nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium:

Siamo chiama­ti a scoprire Cristo in loro (nei poveri), a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad esse­re loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro[5].

E questo perché quando accogliamo una persona povera, materialmente o moralmente, anche se sembra che siamo noi a donare qualcosa, in realtà è molto di più quello che riceviamo. Essi, infatti, «hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro»[6]

Non solo. Anche lo stile di accoglienza di Mons. Greco e della Madre De Vincenti ricalcava quello del Cuore Materno di Maria e faceva la differenza con altri approcci più duri, sebbene amorevoli, tipici dell’epoca nella quale vivevano. La dolcezza e la delicatezza hanno infatti sempre contraddistinto lo stile dei nostri Fondatori, tanto che ce li hanno lasciati come “metodo” di apostolato[7]. Ed è molto bello sentire quello che dice il nostro padre, riguardo al modo di accogliere anche le persone che sembrano meno meritevoli della nostra attenzione:

12 Settembre 1913, ore 23.00 secondo il mio orologio

Fò risoluzione di usare dolcezza in ogni cosa per ottenere con frutto. Alla conversione delle nostre anime, conviene gettare il balsamo della vita di Cristo, sul vino del nostro zelo, affinché questo non sia troppo ardente, ma benigno, pacifico, sofferente e pieno di comprensione. [8]

 

Credo che questo dovrebbe farci riflettere anche sul nostro stile di apostolato, oggi che, più che mai, c’è bisogno di dolcezza e misericordia. In quanto Piccole Operarie, dovremmo essere esperte in questo approccio con le persone, perché è quello tipico del Cuore di Cristo e del Cuore di Maria. D’altra parte, Papa Francesco non si stanca di richiamare ogni cristiano ad agire “con bontà e misericordia", a riprova dell’attualità del nostro carisma, che dobbiamo impegnarci a riscoprire giorno dopo giorno e fare del nostro meglio per viverlo, adattandolo “ai tempi e ai luoghi” nonostante le inevitabili debolezze e fragilità. 

  

[1] «Al tempo di Gesù (i pastori) non godevano di buona reputazione. Come provava l’esperienza, essi erano quasi sempre dei disonesti e dei ladri. Per questo, era vietato comprare direttamente da loro lana, carne o capretti» (J. JEREMIAS, Gerusalemme al tempo di Gesù, Napoli 1989, p. 462).

[2] FRANCESCO, Evangelii Gaudium, Esortazione apostolica, EDB, Bologna 2013, n. 199.

[3] Papa Francesco, nella recente Esortazione Apostolica, sintetizza questo “stile” in modo magistrale: «Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso « si fece povero » (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “sì” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane» (Evangelii Gaudium, n. 197).

[4] GIUSEPPE GIRARDI, Una storia a tre soggetti, Roma 2001, pp. 36-37.

[5] FRANCESCO, Evangelii Gaudium, n. 198.

[6] Ibidem.

[7] Cf. SUORE PICCOLE OPERAIE DEI SACRI CUORI, Profilo carismatico dell’Istituto, p. 12.

[8] FRANCESCO M. GRECO, Diario 1913, Archivio Casa Generalizia, Roma. (Positio, p. 248).

C’è sempre tempo… per un cuore nuovo!

Il cuore: una parola che nella storia dell’umanità ha assunto i più svariati significati e della quale il più delle volte, forse, se ne è fatto uso in modo improprio. Infatti, sarebbe riduttivo e scontato limitare il significato del termine al semplice ma fondamentale organo del nostro corpo, così come non si può pretendere di sentirsi sempre col cuore (inteso in senso biblico come sede delle decisioni) libero da ogni ferita o preoccupazione, in uno stato di apparente, eterna felicità o assenza di dolore. Questo e molto altro è quanto è emerso dall‘intensa settimana passata in Sila da noi redattori insieme ad altri giovani, in occasione del campo scuola organizzato dalle suore piccole operaie dei Sacri Cuori, mai banale e sempre ricco di tanti contenuti, tali da indurre necessariamente alla preghiera e alla riflessione su molti aspetti della nostra vita che il più delle volte diamo troppo per scontati.

Il campo scuola è prima di tutto un’esperienza di fraternità, nella quale anche il carattere più ferito o chiuso al prossimo deve necessariamente uscire dal proprio guscio per poter vivere pienamente questi giorni insieme a Gesù. Il concetto da tener presente, per quanto difficile da assimilare, è abbastanza chiaro: chi ci sta accanto, che sia più o meno simpatico o abbia più o meno affinità col nostro carattere, è sempre uno strumento attraverso il quale Qualcuno vuole comunicarci qualcosa, spronarci, metterci alla prova contro i nostri limiti. E non perché provi piacere nel farlo, ma per aiutarci a compiere quei piccoli ma necessari passettini per iniziare il procedimento di restaurazione del proprio cuore. Non sempre incontreremo nella nostra vita persone che possano entrare a farne parte stabilmente. Ma cominciando, appunto, a ragionare nell’ottica del prossimo come strumento, e tendendo sempre presente che anche lo stesso nostro prossimo si trascina un vissuto più o meno provante e complicato e lo esterna in modo diverso da come facciamo noi, allora la prospettiva comincia a cambiare drasticamente e ci si apre un mondo tutto nuovo. E tutte le attività svolte insieme, di riflessione dopo le catechesi sempre ricche, originali e intense tenute dalle suore o di maggiore svago come i giochi, le canzoni o gli scherzi riuniti intorno alla tavola, sono i migliori mezzi per cogliere maggiormente questo positivo cambiamento.

Scoprire il prossimo è anche un passaggio importante per imparare a conoscere sé stessi. Come già accennato, e parafrasando il poeta John Donne, nessun uomo è un’isola, e deve necessariamente relazionarsi con altri suoi simili e con l’ambiente che lo circonda. Allo stesso tempo, tuttavia, dopo aver fatto esperienza del prossimo è necessario tornare un attimo nella propria sfera personale. E i luoghi di montagna, immersi nella natura quasi incontaminata, lontano dal tran tran e dagli impegni quotidiani, sono sicuramente i più idonei per aumentare la concentrazione e riflettere col proprio io più intimo. E lo step successivo è abbastanza scontato: nel momento in cui si cerca sé stessi e si è soli, diventa inevitabile la ricerca di qualcos’altro, o meglio, di qualcun altro. E questo Qualcun altro non può che essere Colui che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Tutto concorre alla ricerca del Suo Volto e della Sua Volontà, dai momenti di preghiera comunitaria e personale all’adorazione eucaristica sempre diversa nella forma e per quello che Lui ha da dirti, passando per i continui esami di coscienza precedenti alla riconciliazione.

Da soli e insieme, in maniera equilibrata, ma sempre uniti nel Suo Amore. Ed ecco che viene fuori il cuore nuovo, scrostato da tutta la pietra del peccato e della nostra fragilità che lo circonda, simbolo dell’Amore vero di Dio per noi. Attenzione però a illudersi che una volta ritrovato si possa stare definitivamente e finalmente tranquilli. Trovare Dio non corrisponde al raggiungimento del Nirvana e della pace interiore. Gli ostacoli e le cadute ci sono e ci saranno sempre, e nessuno di noi sarà esente da questi. Il miglior modo per non rendere vana e soprattutto concretizzare “a valle” la discesa dal nostro personale monte Tabor è fare memoria di essere in possesso di questo cuore nuovo, nella consapevolezza che ognuno di noi è prezioso ai Suoi occhi, a prescindere da tuttoIn conclusione quindi, da veterano dei campi scuola e da “servo inutile” costantemente in cammino, non posso che confermare quanto siano importanti esperienze di questo tipo, consigliandole davvero a tutti, nessuno escluso. Perché, in fondo, tutti aspiriamo al cuore nuovo. E non c’è cosa più bella di ottenerlo con l’aiuto e sotto la protezione di Chi ci ama più di chiunque altro al mondo.

Casa Generalizia

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